Si evincerà dal mio nick quanto possa essere legato al gruppo in oggetto, Le Orme di fatto sono state per me la porta verso il prog (inteso come movimento prog italiano ma, di fatto, anche il primo incontro col prog sinfonico in senso più ampio). Trovarsi nel 2023 a parlar di "vecchie glorie" (vale anche per le altre realtà, pensando alle ultime due fatiche del Banco nella sua nuova formazione) presenta ovviamente il conto, un conto fatto di criticità ovvie: la ricerca della ripetizione di quello che fu, fisiologica, e la valutazione sul fatto che tali band siano o meno rappresentative del nome che portano (Orme senza Tagliapietra, Banco senza Di Giacomo-Maltese, PFM senza Mussida). Il nodo della questione, pensando alle Orme, si fa ancor più inestricabile pensando al peso specifico di Tagliapietra nella storia della band, alle sue doti di "melodista" (come lui stesso ama definirsi) e all'ovvia sensazione che il progetto sia "monco", suoni alle orecchie di qualcuno come privo di un'anima.
Il progetto discografico derivato dalla reunion appare per certi versi dispersivo, lontano dalla sintesi, eterogeneo tanto da smarrirsi. Gli inediti pubblicati come Le Orme (da Overture a Caigo) fotografano in modo eccellente cosa siano Le Orme senza Tagliapietra, lo fanno meglio di ogni parola: c'è qualcosa di derivativo e autocitazionista, anche qualcosa di godibile (con rimandi a ELP evidenti e soluzioni tendenti al malinconico, tipiche del gruppo veneto). Al contempo mi viene da pensare che l'eredità de Le Orme risuoni più nel Tagliapietra solista (es. un pezzo come Silenzi o diversi momenti de L'angelo rinchiuso) che non in questo nuovo capitolo. A conti fatti si intuisce perché Tagliapietra non abbia accolto l'idea di figurare come "ospite in casa propria", una partecipazione vissuta invece con maggiore serenità da Tony Pagliuca, pronto ad allontanarsi da derive nostalgiche e a offrire il proprio bagaglio personale (ormai distante anni luce dal prog sinfonico, proiettato su una ricerca costante e mai sulla ripetizione di uno stile, basti pensare al brano "Partire", per certi versi fuori contesto).
Mi domando insomma quale possa essere una chiave di lettura obiettiva di un lavoro su cui pesa il fantasma di un'assenza, che si pone a metà tra nostalgia e presente, quale possa essere l'effettiva portata del progetto...attendo altri pareri. Un saluto
Il progetto discografico derivato dalla reunion appare per certi versi dispersivo, lontano dalla sintesi, eterogeneo tanto da smarrirsi. Gli inediti pubblicati come Le Orme (da Overture a Caigo) fotografano in modo eccellente cosa siano Le Orme senza Tagliapietra, lo fanno meglio di ogni parola: c'è qualcosa di derivativo e autocitazionista, anche qualcosa di godibile (con rimandi a ELP evidenti e soluzioni tendenti al malinconico, tipiche del gruppo veneto). Al contempo mi viene da pensare che l'eredità de Le Orme risuoni più nel Tagliapietra solista (es. un pezzo come Silenzi o diversi momenti de L'angelo rinchiuso) che non in questo nuovo capitolo. A conti fatti si intuisce perché Tagliapietra non abbia accolto l'idea di figurare come "ospite in casa propria", una partecipazione vissuta invece con maggiore serenità da Tony Pagliuca, pronto ad allontanarsi da derive nostalgiche e a offrire il proprio bagaglio personale (ormai distante anni luce dal prog sinfonico, proiettato su una ricerca costante e mai sulla ripetizione di uno stile, basti pensare al brano "Partire", per certi versi fuori contesto).
Mi domando insomma quale possa essere una chiave di lettura obiettiva di un lavoro su cui pesa il fantasma di un'assenza, che si pone a metà tra nostalgia e presente, quale possa essere l'effettiva portata del progetto...attendo altri pareri. Un saluto